World Press Photo: la fiaccola del reportage dal volto umano

“La fotografia è un mezzo di espressione potente. Usata adeguatamente è di grande utilità per il miglioramento e la comprensione. Usata male ha causato e causerà molti guai… Il fotografo ha la responsabilità del suo lavoro e degli effetti che ne derivano… La fotografia per me non è semplicemente un’occupazione. Portando la macchina fotografica io porto una fiaccola…”

(W. Eugene Smith)

Il reportage è senz’altro uno dei generi fotografici più veri e più sentiti. Ma allo stesso tempo può essere un’arma a doppio taglio, poiché è la forma di “ritratto di luce” più realistico e quanto mai lontano da qualsiasi tipo di “filtro”.

La verità sotto forma di immagine, dunque. Ciò che l’occhio ritrae sarà senza dubbio ciò che la macchina ha inquadrato: e dunque forse questo rende il reportage ciò che più si avvicina all’obiettività.

Questo genere ha visto arruolare nelle sue file tantissimi Grandi Maestri della fotografia, che hanno ritratto spesso in maniera impietosa, ma anche con altrettanta umanità, scenari di guerra, devastazioni, carestie ma anche realtà emarginate delle grandi metropoli.

Basti pensare a Robert Capa e la Seconda Guerra Mondiale; o a Sebastião Salgado e le sue foto della povertà nel Corno d’Africa e della devastazione delle guerre nell’Ex Jugoslavia; o ancora alle iconiche foto di Nick Út in Vietnam o di Steve McCurry in Afghanistan.

Rwandan refugee camp in Benako, Tanzania. 1994 – Sebastiao Salgado ©

Un oceano sterminato di immagini che ci ha restituito, in modo più o meno sconvolgente l’orrore, ma anche la speranza, proveniente da qualsiasi fazzoletto del mondo.

Qual è, nel 2019, alla fine del secondo decennio del XXI secolo, l’eredità di questi grandi fotoreporter? Chi sono i grandi eredi di questa immane tradizione? Chi si occupa di tramandare questa grande eredità alla popolazione mondiale?

La fiaccola del World Press Photo

Rifacendoci alla bella immagine della citazione di W. Eugene Smith è lecito chiedersi chi stia portando avanti nella Storia questa suggestiva fiaccola, per illuminare di luce l’oscurità dei luoghi celati dall’oblio dell’indifferenza quotidiana.

Ad assumersi questa responsabilità è la fondazione olandese World Press Photo, che rappresenta l’organizzatrice del più grande e più prestigioso concorso di fotogiornalismo mondiale, vale a dire i World Press Photo Awards.

Una sorta di Premio Oscar del fotoreportage mondiale, tanto per intenderci.

La cerimonia finale di premiazione assegna riconoscimenti ai migliori fotoreporter del mondo dalla sua prima edizione, datata nel lontano 1955.

Ed il premio più ambito è senza dubbio quello della World Press Photo of the Year, che in sintesi, nelle intenzioni degli organizzatori deve essere non solo

“[…] la sintesi fotogiornalistica dell’anno, ma rappresenta un problema, situazione o evento di grande importanza giornalistica, e fa questo in un modo che dimostra un eccezionale livello di percezione visiva e creatività.”

Un premio, pertanto, che ha l’obiettivo di rendere pervasiva la comunicazione fotografica e di riuscire ad avvicinare il grande pubblico al mondo del photo reportage.

Tra i grandi vincitori del passato non si possono non citare almeno il fotografo britannico Don McCullin, che nel 1964 si aggiudica il primo premio con una foto dedicata alla scottante Questione di Cipro.

Ghaziveram, Cyprus. 1964 – Don McCullin ©

O il già sopra citato Nick Út, che nel 1975 ritrae la giovane Phan Thị Kim Phúc e altri bambini che fuggono con gravi ustioni causate da napalm (foto che gli varrà anche il Premio Pulitzer).

O anche gli italiani Francesco Zizola e Davide Masturzo, trionfatori rispettivamente nel 1997 e nel 2010 con istantanee sulla guerra civile in Angola e la Dittatura in Iran.

Kuito, Angola, 1996. Franesco Zizola ©

Italia che comunque si è sempre distinta anche nelle altre sezioni: basti pensare alla vittoria del fotografo siciliano Alessio Mamo per la categoria People nel 2018.

Dunque una delle kermesse più importanti della fotografia mondiale: e che riesce a portare avanti egregiamente la sua mission.

Una fiaccola nell’oscurità: sarà questa lanterna a continuare a perpetrare la tradizione del reportage alle generazioni future. 

Un compito non semplice: ma che finora è sempre stata portato avanti senza perir colpo.

(La foto di apertura dell’articolo è la vincitrice del World Press Photo of Year 2018: Venezuela Crisis, 2017, Ronaldo Schemidt ©)

Simone Bellitto

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