Alessio Mamo e il dramma del reportage contemporaneo

“È impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore.”

Colonnello Walter E. Kurtz, Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979)

A volte è difficile raccontare orrore e disperazione, ma anche desiderio e rivalsa con le sole parole. E ovviamente in questi casi vale il classico adagio per cui “un’immagine racconta meglio di mille parole”.

Ciò nonostante non è da tutti riuscire a trasmettere il senso assoluto di stati d’animo così complessi nemmeno attraverso le immagini.

E per questo gli autori di fotoreportage che colpiscono contemporaneamente il cuore e lo stomaco sono forse oggi quelli che meglio ci stanno raccontando un mondo in continuo e febbrile cambiamento.

Tra tutti, negli ultimi anni, spicca un giovane fotoreporter che, dopo la laurea in chimica, ha scelto il mondo fotografico per regalare agli altri la sua personale visione del mondo.

Parliamo del fotografo siciliano Alessio Mamo, che avremo il piacere di ospitare alla prima edizione di PHŌTÓS, manifestazione pubblica per chi vive e condivide la Passione per l’Arte Fotografica. (Maggiori dettagli sul nostro evento sono disponibili a questo link).

Occhi che scrutano drammi sociali e quotidianità

Dopo la laurea in fotografia all’Istituto Europeo di Design (IED) di Roma, Mamo ha subito realizzato quale fosse la sua mission nel mondo fotografico: raccontare la quotidianità del dramma di ogni singolo essere umano.

Ed è per questo che ha scelto il fotogiornalismo come suo campo prediletto per la sua specifica narrazione visiva: attualmente ricopre la figura di freelance per la Photo Agency indipendente Redux Pictures.

Ma dove si sofferma nello specifico lo sguardo del nostro fotogiornalista conterraneo? Alessio Mamo negli ultimi anni è stato una delle voci che meglio ha raccontato la crisi umanitaria e migratoria globale.

Immortalando con grande abilità in maniera particolare gli effetti di questa immane crisi sui soggetti più deboli e indifesi.

Su quelli che non hanno possibilità di difendersi da efferatezza e violenza, con una visione partecipata che non sfocia però mai nel mero patetismo.

Richiedenti asilo pachistani nel centro Cara di Mineo, Sicilia, 2015. (Alessio Mamo, Redux/Contrasto ) © 

Ma non solo. Sempre più negli ultimi anni Mamo ci sta anche raccontando gli effetti visivamente ancora più plateali e debordanti della devastazione delle guerre in Medio Oriente.

Dove anche qui sono gli indifesi, le vittime della “Storia”, in una concezione che assomiglia molto a quella dell’omonimo romanzo-verità di Elsa Morante.

Il riconoscimento ottenuto al World Press Photo

Come coronamento di una carriera decennale, dedicata interamente a una concezione etica e partecipata del fotogiornalismo, il fotografo siciliano ha vinto il secondo premio al World Press Photo 2018, per la categoria People, sezione “Singles”.

La foto, dal titolo Manal, War Portraits (2017) descrive il dramma inimmaginabile di una ragazza di 11 anni che, a causa di un esplosione missilistica nei pressi di Kirkuk in Iraq, è rimasta sfigurata nel volto e nell’anima.

Manal, War Portraits (2017) – Alessio Mamo © 

La giovane infatti è costretta a indossare una maschera per diverse ore al giorno, così da proteggere il proprio viso deturpato (e ricostruito a seguito di numerosi interventi chirurgici) dalla luce del sole.

Una cosa che a noi appare tanto naturale e scontata per Manal si è trasformata in qualcosa da cui doversi proteggere: e questo è forse il dramma più grande del capovolgimento globale scatenato da una guerra.

Tutto scorre

E in un mondo che è trascinato da un continuo e sfrenato πάντα ῥεῖ immaginifico a volte persino una immagine di forte denuncia, agli occhi degli stolti, rischia di trasformarsi in mera speculazione.

Uno dei recenti progetti del fotografo siciliano ambientati in India, Dreaming Food, ha scatenato sui Social l’anno scorso una serie di polemiche relative a una sorta di “sfruttamento visivo della povertà”.

Dreaming Food: India’s Hunger Issue, 2018 – Alessio Mamo ©

Le foto sono frutto di una serie concettuale (condotta con un’associazione no profit locale e che non ha ritratto per scelta soggetti né malnutriti né malati) che vuole contrapporre lo scandalo inaccettabile dello spreco di cibo e di consumi associato a periodi come quello del Natale Occidentale, all’estrema miseria delle zone di povertà.

Ovviamente i personaggi pubblici dall’indignazione facile (e a comando) hanno subito etichettato queste foto come pretestuose e strumentali. (Foto per cui l’autore si è addirittura scusato nel caso fossero risultate offensive per qualcuno).

Eppure è forse proprio questo il senso della denuncia: scuotere, riflettere e spingere all’azione.

Probabilmente è questa la lezione più grande che ci ha regalato Mamo con queste ed altre foto: anche se noi ci troviamo fermi nella nostra stanza a guardare la TV, il monitor di PC o il nostro smartphone, il mondo là fuori continua a muoversi.

E noi dobbiamo scegliere se essere spettatori o agire.

Un monito alla riflessione che ci impone di guardare il mondo da altre angolazioni e con un diverso spirito.

E in un mondo che ogni giorno assomiglia sempre meno a quello del giorno precedente raccontare tutto questo per frenare la schizofrenia delle immagini, consentitelo, non è cosa da poco.

Simone Bellitto

2 risposte a “Alessio Mamo e il dramma del reportage contemporaneo”

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